flusso della coscienza (privo di freni inibitori)

8/03/2007

La coalizione dei traditori

Se la "riforma" delle pensioni del Governo Prodi ficca le mani nelle tasche dei giovani e dei meno garantiti, lo fa per due fini molto nobili: 1) mantenere l'irresponsabile "promessa" elettorale di "superare" la riforma Maroni; 2) garantire ad una minoranza di cittadini il privilegio di andare in pensione appena dopo la maggiore età. Attraverso una serie di innalzamenti di età minima distribuiti nel tempo, il lungimirante provvedimento si propone di ottenere lo stesso risultato che la riforma Maroni perseguiva innalzando bruscamente l'età pensionabile; una volta di più si tratta di posporre quelle misure che sarebbero state tardive anche se attuate dieci anni fa. Fin qui, siamo nell'ambito del solito marcio ed irresponsabile tatticismo politico italiano. Ma c'è di più: trasformare il cosiddetto "scalone" in una scala meno ripida non è per niente gratis, ma costa, a tutti noi, la bellezza di 10 miliardi di euro in dieci anni. Insomma, la "riforma" di sinistra ha lo stesso fine di quella "neoliberista" varata dal centro destra, solo che costa molto di più. Molto bene, anche perché il conto lo paghiamo tutti, ma a mangiare è solo una minoranza coccolata da governo, sindacati e sinistra. Qui arriva il capolavoro: da dove saltano fuori i soldi per coprire i maggiori costi? Spremere ancora gli Italiani che già pagano le tasse non si poteva; allora si è pensato di raschiare qualcosa dai contributi (i quali, dato che consentono di pagare le pensioni attuali e che saranno andati in fumo quando io andrò in pensione, per me sono tasse e non contributi). Da qui nasce il mito della "riforma a costo zero": la copertura, infatti, dovrebbe venire per circa la metà dall'aumento delle aliquote applicate ai parasubordinati, per un altro 40% circa dalla "razionalizzazione degli enti previdenziali", e per la parte rimanente dalla mancata adeguamento transitorio delle pensioni superiori a sette volte la minima. Questo vuol dire che: 1) lo stato ruba ai più precari per redistribuire ai più garantiti; 2) lo spreco del sistema previdenziale è tale che una sua riorganizzazione sarebbe in grado di farci risparmiare tra i 4 e i 5 miliardi di euro, che sarebbero più utilmente impiegati per aumentare le pensioni da 500 euro. Senza contare che, se per caso la magica ristrutturazione non dovesse portare a cassa le somme desiderate, il nostro governo ha pronto un "piano b": aumentare i contributi previdenziali per tutti! Altro che costo zero: sono sempre dindi che vengono fuori dal nostro portafoglio anche se la gentaglia del Palazzo è abituata a considerarla "roba sua". Tutta questa disinvolta operazione serve a consentire ad un piccolo gruppo rumoroso di andarsene in pensione, a partire da gennaio 2008, a 58 anni di età e 35 di contributi. Tanto per capire che tipo di errore disastroso stiamo commettendo, diamo uno sguardo ai requisiti previsti negli altri paesi europei: in Spagna ed Olanda si va in pensione a 65 anni, in Svezia, sono necessari anche 40 anni di contributi, in Germania ci si ritira a 63 anni, in Francia con 40 anni di contributi, in Svizzera a 65 anni più 44 anni di contributi (dati presi dall'articolo di Tito Boeri su La Stampa del 21 luglio 2007).

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