flusso della coscienza (privo di freni inibitori)

9/17/2007

Cronache da Fantaitalia: licenziata per aver "denigrato" l'azienda

Non so, io sono pure animalista, ma ogni volta che mi tocca sentire una cazzata pronunciata dagli "ermellini", mi viene il sangue agli occhi. In questo blog si è già dato spazio alla demenziale sentenza secondo la quale l'uso del telefono aziendale per mandare qualche SMS privato costituirebbe un vulnus talmente grave al rapporto di fiduciario tra datore di lavoro e dipendente da giustificare la rescissione unilaterale del contratto da parte del primo; oggi è la volta della sentenza n. 19232 del 14 settembre 2007, con la quale i "supremi giudici" sostengono che perfino il "parlare male" dell'azienda per la quale si lavora può costituire una giusta causa per licenziare il dipendente contestatore. Il principio in sé è odioso, perché a mio avviso è mirato all'intimidazione preconcetta ed indiscriminata di ogni e qualunque forma di dissenso all'interno di un'organizzazione: è vero, non sempre le critiche che si sentono negli uffici rispondono esattamente alla realtà dei fatti (chi mi conosce pensi alle mie) ma è pur vero che il dissenso argomentato ed espresso civilmente di una persona capace (e pertanto utile) può essere essenziale per l'identificazione e la risoluzione di problemi e quindi per il miglioramento del processo produttivo e della società in generale. Se cerchiamo in qualche modo di scendere dalle vette siderali dove risiedono i cervelli atrofizzati dei nostri giudici di cassazione al caso specifico che ha scatenato l'ennesimo sentenza-monstre, scopriamo che all'infermiera licenziata sono state contestate "espressioni offensive sulla capacità e sulla professionalità del personale" e "la divulgazione di addebiti contenuti in una lettera di contestazione relativi al ritrovamento di prodotti scaduti presso il blocco operatorio". Tradotto in italiano, la poveretta aveva probabilmente dato dell'incompetente ad un collega che (per dire) somministrava ai pazienti farmaci errati e potenzialmente letali, e si è spinta a dare rilevanza formale (una nota scritta) ad eventi gravi e anche qui estremamente pericolosi (presenza di medicamenti scaduti in sala operatoria). Insomma (ammettendo che le lamentele dell'infermiera rispondessero a verità) fare il proprio dovere nei confronti del datore di lavoro e dell'umanità può essere un'attività censurabile e costituire giusta causa di licenziamento. Tanto più che la "suprema" corte non entra nel merito della verità o meno delle contestazioni della dipendente, ma si limita a soppesarne il valore negativo in termini di immagine; in altre parole, la sentenza ci dice che, se scopriamo che la nostra azienda vende armi di nascosto ai bambini soldato, dobbiamo stare zitti e non dirlo a nessuno (neanche internamente) perché potremmo lederne l'immagine! Insomma, può succedere di tutto, basta che non si sappia in giro, anzi basta che chi lo sa se lo tenga per sé. Grazie, "supremi giudici" per aiutarmi a credere in questo paese.

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